TALENTO NATURALE VS CONSENSO DEGLI SPETTATORI

Lo psicologo Anders Ericsson e i suoi colleghi, in uno studio degli anni ’90 nell’Accademia Musicale di Berlino, divisero i violinisti in tre gruppi, le “stelle”, i “bravissimi” e i “bravi”

La maggior bravura dei primi era correlata con una maggiore pratica, almeno 10 mila ore
Per il secondo gruppo erano 8 mila, per il terzo meno di 4 mila. Da qui la “teoria delle 10 mila ore” del sociologo Malcolm Gladwell, dopo le quali si dovrebbero raggiungere alti livelli in ogni ambito

Pare che uno dei primi a ridimensionare la teoria fu Ericsson: capita di vedere anche praticanti da 20 anni in un ambito meno bravi di quelli che praticano da 5 se non hanno continui obiettivi di miglioramento

Ci sono il bianco, il nero e le sfumature di grigio. Il “nero”: rifiutare tutta la teoria di Gladwell invece di indicarne i limiti di applicabilità. Il “bianco”: vedere qualcuno bravo in qualcosa e affermare che sia un “talento naturale” senza aver seguito sistematicamente allenamento, metodo, intenzionalità, impegno, passione, strumenti, mentori, ambiente, confronti con i competitor, etc.

Alcune sfumature di grigio. Ci sono abilità e talenti che sono arbitrari in un dato contesto e c’è la questione del consenso degli “spettatori”. Quello che è ritenuto geniale in una cultura e un tempo non è detto lo sia in altri contesti, culture e tempi (es. le performance nei talent show, alcune correnti artistiche), per cui parlare di genetica o carisma risulta fuorviante

Le ore di allenamento possono impattare molto su diversi “talenti”, abilità e competenze (molti sport, gli scacchi, la pratica di uno strumento, la scrittura creativa, etc.) e meno su altri, dove una caratteristica che ottiene consenso in un dato pubblico può derivare da intuito, gusti, fortuna e non da intenso allenamento

Ma sono tipi di situazioni non generalizzabili, e forse ci vuole un certo “talento” concettuale per non ridurre tutta la realtà osservata ad una caratteristica presa in considerazione, generalizzando appunto

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